Dante e Pisa

Dante e Pisa. Lingua, arte e storia è il titolo dell’ultimo volume, pubblicato da Pacini editore, di Fabrizio Franceschini, già docente ordinario di linguistica italiana presso l’Università di Pisa, che è tornato a trattare del rapporto tra Dante e Pisa, con l’intenzione di evitare di confinarlo solamente all’episodio del conte Ugolino del canto XXXIII dell’Inferno, ma anche andando a studiare riferimenti forse poco conosciuti ai più, fornendo dunque le chiavi di lettura per una loro adeguata comprensione. Partendo dall’importante convegno internazionale di studi, organizzato a Pisa nel 2013 in occasione del settimo centenario della morte di Enrico VII, Franceschini ha voluto fornire ai lettori non solo una chiave di lettura linguistica e letteraria, ma anche storico-artistica, allegando al volume un ricco apparato iconografico di monumenti e documenti di archivio connessi al rapporto della città con Dante e le sue opere. Intenzione dell’autore, infatti, è quella di portare all’attenzione di un pubblico quanto più ampio possibile quel mondo pisano di fine Duecento, le cui vicende influenzarono la storia dell’Italia intera: ecco che emergono dalle pagine di Franceschini le figure di Gano degli Scornigiani («quel di Pisa», Pg. VI 17) e del giudice di Gallura Nino Visconti (Pg. VIII), ma riferimenti pisani sono presenti anche nel Paradiso terrestre, secondo la suggestiva e ancora dibattuta ipotesi, avanzata da Francesco da Buti, per cui la figura allegorica di Matelda sarebbe da identificare con Matilde di Canossa e quella di Beatrice sarebbe stata influenzata anche da Beatrice di Canossa, sepolta nel sarcofago di Fedra, oggi conservato presso il Camposanto monumentale di Pisa. Di capitale importanza per Pisa è anche la figura di Enrico VII, unico imperatore le cui spoglie riposarono per lungo tempo nell’abside della Cattedrale primaziale, sotto il Cristo Pantocratore, in un monumento funebre, realizzato da Tino da Camaino e, secondo una suggestiva ipotesi di Franceschini, ispirato da Dante stesso, che colloca «l’alto Arrigo» (Pd. XVII 82) in uno degli ordini più alti della candida rosa del Paradiso. Franceschini dedica ampio spazio anche a un’indagine linguistica alla riscoperta di tratti pisani nella Divina Commedia: tra i tanti si porta all’attenzione quello dell’origine del termine “torre della muda”, ove «muda» va inteso come sinonimo di prigione e non come nome proprio della torre, che poi acquisirà, dopo la morte di Ugolino, il nome di “Torre della Fame”, richiamando la condanna dell’illustre pisano caduto in disgrazia. In collaborazione con il LIDUP, Franceschini intende “dare vita” al testo, organizzando per la prossima primavera una visita guidata di Pisa alla scoperta dei luoghi e delle referenze dantesche.

Copertina del libro di Fabrizio Franceschini